Il baci(n)o di Giuda: conflitti ed aggressività fra bambini

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Per introdurre il tema di oggi, voglio lanciarvi una piccola provocazione.

Immaginiamo una situazione tipica che si può creare fra bambini, al nido, a casa di amici o dei cugini, al parco: un bambino fruga nel sacchetto dei giochi di un altro bambino e si impossessa del camion più bello; il proprietario del camion, sbalordito, chiede il camion indietro, ma il primo bambino non mostra di avere intenzione di restituirlo…anzi inizia a giocarci….quindi il bimbo reagisce malissimo…piangendo, spingendo o magari mordendo..a quel punto accorrono le mamme, che invitano i bambini a fare pace e a darsi un bacino.
Tutto normale, no?

Ok.

Ora immaginiamo NOI STESSE, in un contesto adulto, ad esempio in ufficio. Una collega sta frugando nella nostra borsa e si è impossessata del nostro cellulare nuovo. Sbalordite, la invitiamo a posarlo ma lei non ci pensa nemmeno, anzi inizia a premere i tasti e ad utilizzarlo. La aggrediamo con male parole..siamo sconcertate…ma come si permette di fare una cosa del genere? In quel momento entra in stanza il capoufficio, nota la scena, e vi invita a “fare pace” e “darvi un bacino”.
Tutto normale, no?

…………………………………………
…non credo proprio, anzi credo che pensereste che il capo in pausa  abbia bevuto caffè corretto.. 😉

Questo esempio un po’ enfatizzato (ma non troppo), ci serve ad affrontare uno degli aspetti più importanti legati all’aggressività, ovvero la gestione di emozioni allo stesso tempo semplici e complesse come la rabbia.
La rabbia è una delle emozioni fondamentali e come tale è filogeneticamente determinata. Questo parolone significa semplicemente che è innata e che ha una funzione adattiva, ovvero serve per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie. (Schachter 1964; Plutchik 1980, 1993; Izard 1977; Izard & Buechler 1980).
Sebbene molto spesso la parola “rabbia” venga utilizzata come sinonimo di aggressività e violenza, assumendo così una connotazione unicamente negativa, la rabbia assolve un ruolo anche “positivo” molto importante nella vita di ognuno di noi, poiché segnala la violazione dei propri diritti o la presenza di un ostacolo al raggiungimento di obiettivi personali.
Inoltre assolve anche la funzione di preparare all’azione, nel tentativo di riparare l’ingiustizia o il danno. Le ricerche hanno dimostrato che anche la sola comunicazione verbale e non-verbale (mimica facciale e postura) della propria rabbia esercita una certa influenza sul comportamento degli altri (M. Linehan, 2001).
Quindi, tornando ai nostri due esempi, la rabbia è “utile”, poiché segnala in modo fermo e deciso all’interlocutore, che non abbiamo intenzione di accettare una violazione.
Il bambino della scenetta nr 1 sta inviando UN SEGNALE e noi adulti non possiamo negarlo, farlo cadere, ignorarlo, invitandolo a fare un gesto che va nella direzione completamente opposta al suo vissuto, ossia dare un bacino.
Certo la riparazione, il conciliare, il “fare pace” è importante, ma appartiene ad un momento SUCCESSIVO, quando l’attivazione fisiologica è scemata.
Per lo stesso motivo, anche il semplice distrarre il bambino da una situazione conflittuale (“vieni,vieni a vedere alla finestra che passa il camion ecc…”), è una tecnica che si può utilizzare sporadicamente, ma se viene usata in modo sistematico diventa di nuovo un lasciar cadere o negare l’intenzione comunicativa del bambino.
E’ come dire: “ caro il mio bambino, provi un’emozione fondamentale, primaria, innata, che per te è importantissima per non far violare i tuoi diritti? E noi facciamo finta che tu non la stia provando, e che tu abbia invece voglia di dare un bacino o che sia certamente più interessato al panorama dalla finestra”.A questo punto capite che tale comportamento può ACUIRE i comportamenti di espressione della rabbia, nel tentativo del bambino di far comprendere ciò che sta provando.

Ma come fare allora?

Siamo adulti e dobbiamo vigilare, non possiamo certo lasciare che i bambini si picchino, si spingano o si mordano.
Se la rabbia di un bambino si traduce in comportamenti aggressivi, occorre come sempre fare un passo indietro e chiedersi alcune cose:

  1.  Il bambino in questione ha difficoltà comunicative? I bambini che ancora non parlano o che hanno problemi di linguaggio, non riuscendo ad esprimere i loro vissuti con le parole, utilizzano il canale fisico. Inoltre, più sono grandi e più il non riuscire ad esprimersi procura frustrazione, che aumenta lo stato di attivazione fisiologica e le riposte aggressive.
  2. Il bambino è abituato a risposte di tipo fisico? Se a casa usiamo sculaccioni, strattoni e modalità di questo tipo in risposta a capricci o rimostranze del bambino, non possiamo stupirci se il bambino le utilizza a sua volta.
  3. Il bambino è abituato all’assenza totale (o quasi) di limiti o regole? Come già spiegato nel post sui capricci, la mancanza di regole fa sì che i bambini non interiorizzino modalità adeguate di contenimento.

Fatte queste riflessioni, si può iniziare a pensare a come agire quando ci troviamo davanti ad un bambino che agisce la propria rabbia aggredendo un suo pari.

  •  Non caricare mai il comportamento del bambino di connotazioni MORALI = sei cattivo. Il comportamento si può commentare ma mai attribuendogli un’intenzionalità legata ad una connotazione morale negativa. E’ molto diverso considerare un bambino che morde come un bambino malvagio che fa apposta a fare male agli altri, o considerarlo come un bambino sano che difende i propri diritti ma non ha ancora imparato a farlo in un modo più opportuno e controllato;
  • Amplificare il vocabolario emotivo del bambino: a casa, parlare di emozioni, di rabbia, di tristezza, per favorire che lui stesso impari ad esprimere gli stati d’animo con le parole piuttosto che a gesti..con i bambini piccoli, si può anche costruire il “cubotto delle emozioni”, un cubo di cartone sulle cui facce incollare delle foto del bambino ritratto in diversi stati d’animo (rabbia ma anche gioia, tristezza, spavento, sorpresa ecc), ed utilizzare il cubo per denominare le emozioni ed abbinarle a diversi momenti della giornata.
  • Spiegare e nominare  le tappe intermedie del processo di gestione dell’emozione: spesso chiediamo ai bambini di passare da “arrabbiato” a “tranquillo” con un solo comando: “calmati!!”..peccato che il bambino, specie se con difficoltà di controllo, non sappia assolutamente come si fa a farlo. Io consiglio di far vedere ai bambini anche i passaggi che noi adulti diamo per scontati, verbalizzandoli. Ad esempio si può dire ai bambini: “uff, ho bruciato l’arrosto e sono MOLTO ARRABBIATA, adesso cerco di farmi passare l’arrabbiatura” (e come fai mamma?) “eh, faccio così…respiro un po’ più piano, cerco di pensare al perché mi sono arrabbiata tanto, magari cerco di stare da sola per un attimo..poi magari provo a pensare ad una cosa bella e tranquilla…e mi sento già meglio”. Potete nominare le cose che di solito veramente fate per calmarvi, insomma, fate vedere ai bambini che la rabbia è una cosa normale e la provano anche i grandi, solo che imparano (non tutti e non sempre, ma non diteglielo ;-)!!) delle tecniche per gestirla.

Il punto di partenza comunque deve essere sempre NON NEGARE l’emozione del bambino, ma fargli capire che può esprimerla in altri modi. Vi scrivo qui sotto una delle frasi che io consiglio, come sapete non è applicabile a tutti i bambini in modo indifferenziato come una formula magica..occorre modificarla ed adattarla all’età del bambino, al carattere, al carattere anche del genitore in modo che non sembri finto mentre la dice, ma ciò che mi preme trasmettervi è IL SENSO:

“Matteo, ho capito che sei molto arrabbiato perché Francesco ti ha preso il camion, ma non posso lasciare che tu lo picchi perché gli fai male, e ti devo fermare finchè non avrai imparato a fermarti da solo. Cerchiamo insieme dei modi per dirgli quanto sei arrabbiato e farti restituire il camion”.

Tornate qui sul blog a dirmi se funziona??  🙂

4 pensieri riguardo “Il baci(n)o di Giuda: conflitti ed aggressività fra bambini

  1. Da adulta che ancora oggi fa fatica a gestire la propria, di rabbia, credo che sia davvero importante aiutare i nostri bimbi a riconoscerla, e poi a gestirla anche nel rispetto dell’altro. E’ un lavoro duro, ma che serve anche a noi genitori!!

  2. Cara dottoressa, può darmi un consiglio su come gestire il seguente problema? Una volta interiorizzato il rispetto delle propietà altrui e acquisita la capacità di gestire il conflitto con i pari senza oltrepassare il livello verbale, questi “scambi di cortesie” possono tuttavia persistere tra fratelli, e, ancor più aspramente, tra gemelli. Come intervenire al meglio nelle escalation di rabbia e nelle rappresaglie tra fratelli considerando che in gioco ci sono altri fattori come la gelosia?

  3. Dimenticavo una cosa importante. Spesso credo di essere incorsa nell’errore che lei descrive, ossia rimarcare che, tra fratelli, ci si vuol bene, e ci si prestano i giochi (perché mamma non compra due card di Supermario ma solo una e si fa a turno) e che non è possibile picchiarsi per delle sciocchezze simili considerando che non lo farebbero mai con i loro amici.
    Un secondo dopo però mi vengono in mente Romolo e Remo, Caino e Abele e le lotte fratricide per le spartizioni delle eredità che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e mi domando: ma tra fratelli è davvero così naturale volersi bene o è piuttosto naturale il contrario??
    In genere dico loro che sono fratelli e che, raffreddati gli animi, scopriranno di volersi bene e che litigare non era necessario (ma la storia si ripete sempre.)… c’è una differenza col bacino di Giuda o casco in pieno nella trappola?
    Grazie

    1. Silvia leggo solo ora il suo commento!!
      Mi sembra di capire che quanto da Lei descritto sia diverso dal discorso del “bacino di Giuda”, in quanto lei invita i suoi figli a cercare soluzioni (es fare a turno), e non NEGA che possano essere arrabbiati. La chiave è questa, la validazione, quindi tra fratelli ci si può volere bene PUR sentendosi molto spesso rivali e gelosi; lo spiegargli che queste cose accadono, che si possono provare sentimenti anche aspri, ma che si può sempre e comunque provare a superarli e a collaborare, aiuterà i suoi figli a trovare in modo sempre più autonomo strategie di risoluzione dei conflitti, che tuteleranno il loro legame ora e in futuro. Ho risposto? Spero di sì, a presto.

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