C’era una volta e c’è ancora, in nessun Paese e in tutti i Paesi, una donna che viveva rinchiusa in una torre. Le avevano spiegato che il mondo era pericoloso e lei non poteva permettersi di affrontarlo da sola, mai sia! Doveva aspettare un principe azzurro che venisse a salvarla, da sola non poteva fare proprio nulla.
La donna aspettava ed aspettava ma non arrivava mai nessuno, solo una volta aveva sentito dei sassolini alla finestra e si era affacciata, speranzosa, rassettandosi i capelli corti (aveva provato per un po’ a farsi crescere la treccia, però era davvero scomoda), ma il Principe che passava di lì non era propriamente Azzurro, più un Celestino sbiadito, e non intendeva affatto salire a salvarla; anzi, le aveva chiesto se aveva cucinato qualcosa di buono, e se poteva lanciarglielo giù, o, in alternativa, se poteva mandarle su in un cestino il suo mantello da lavare. La donna, allarmata, si era inventata che doveva urgentemente scongelare le biove*; era rientrata nella Torre di gran carriera, e non lo aveva più visto.
Quindi aveva aspettato ed aspettato. Era cresciuta fissando quella porta chiusa, guardando la TV, oppure osservando dalla sua finestrella le persone passare; ogni tanto aveva provato a chiedere aiuto, ma un incantatore chiamato Stereotipo aveva confuso tutti gli abitanti del paese attirandoli a sé con la sua voce flautata, perciò nessuno si era fermato a chiacchierare con lei. E allora aveva continuato ad aspettare. Le avevano detto che era normale, che una donna deve essere posata ed avere pazienza, ma a lei sembrava che il tutto fosse così assurdo, e noioso. Si sentiva piuttosto in forze e la passività non le si addiceva per niente, ma tant’era. Sentiva spesso una strana sensazione nella pancia: un’urgenza, una voglia di urlare, di correre a perdifiato, di ballare..di vivere, insomma.
Sognava spesso di vedere la maniglia abbassarsi, e il suo principe entrare a salvarla.
Una notte, invece, le apparve in sogno una Fatina. A dire la verità un dubbio le venne, perché non sembrava veramente una Fata: aveva ali trasparenti e levitava a mezz’aria, ma appariva piuttosto burbera; inoltre non indossava un vestito luccicante, ma scarpe da ginnastica consumate, jeans e maglietta, e al collo una collana pendente con una piccola sveglia al fondo.
“Chi sei?” Chiese la donna. “Sono la Tua Fata del Risveglio”, rispose. “Mi farai uscire da qui? – Chiese la donna, emozionata – Sta arrivando il mio Principe? Il vestito lo vorrei lavanda, a Mattino Cinque hanno detto che è il colore della Primavera.”
“Ma smettila!- rispose la Fata accigliata, scuotendo la testa- Non hai ancora capito? Non c’è nessun Principe. Inoltre sono allergica alla lavanda.” Si sfilò la collana con la sveglia, la infilò al collo della donna e le disse: questo è il mio regalo per te: è ora che ti svegli. La salutò dandole una pacca forte dietro la schiena, e svanì.
Quando la ragazza si svegliò, pensò che fosse solo un sogno, ma sollevandosi nel letto sentì male nel centro della schiena, e si accorse di avere indosso la collana con la sveglia. Allora capì.
Si alzò dal letto, si diresse verso la porta, spinse sulla maniglia e la porta magicamente si aprì.
E sapete perché?
Perché era sempre stata aperta.
Questa storia è stata scritta per tutte le donne. E’ stata scritta per ogni donna molestata, vessata, sottopagata, stalkerata. Per ogni donna umiliata, sfruttata, accoltellata, incendiata, lapidata.
Il primo cambiamento è nella nostra testa e possiamo farlo solo noi, ognuna di noi, aiutando le altre a farlo a loro volta. Prima di imparare a difenderci tirando calci e pugni, dobbiamo aprire la mente e capire che POSSIAMO farlo, sì, possiamo farlo davvero. Ci hanno raccontato che dobbiamo essere passive e che da sole facciamo poca strada. Ce lo hanno inculcato con libri, pubblicità, cartelloni. Ce lo rimarcano ogni volta che ci chiedono cose inopportune ad un colloquio di lavoro, ogni volta che se ci piace il sesso siamo pu..@ne, e se non ne abbiamo voglia siamo fi@he di legno. Ce lo rimarcano ogni volta che ci trattano come macchine sforna-figli o che ci martellano per sapere perché non ne vogliamo, di figli. Ogni volta che se stiamo zitte dovevamo parlare, e se parliamo, chissà dove vogliamo arrivare.
Ce lo fanno capire in ogni modo, ma dobbiamo svegliarci.
Possiamo farlo, davvero. Non vi dico che sarà facile, o scontato. Ma ognuna di noi può, deve, provare a pensare a se stessa, a volersi bene, ad allontanare da sé chiunque la denigri, la tratti in modo non degno. Ognuna di noi può provare a mettere dei confini, a valorizzare la propria persona, a difendersi, a tutelarsi in tutti i modi possibili.
Possiamo farlo, potete farlo.
Nessuno verrà a salvarvi.
Salvatevi voi, Amatevi voi, tutto il resto verrà da sé, ma tutto, proprio.
Ah, se poi imparate anche a tirarlo, qualche pugno, male non vi fa. B-)
Buon 8 marzo,
vi voglio bene,
Silvia
*biova: tipica pagnotta piemontese
Bellissima…..
Colgo l’occasione per dirti che avrei voglia e bisogno di sentirti….se per cortesia mi mandi il tuo numero e mi dici in quale momento posso chiamarti te ne sarei grata ! A presto buona festa della donna anche a te !
Inviato da iPhone
Come sempre meravigliosa Silvia! Grazie